Atti unilaterali e i loro limiti
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Atti unilaterali e i loro limiti

Gli atti unilaterali sono quei negozi giuridici che si perfezionano grazie alla manifestazione di volontà di una sola parte, sia essa unipersonale o pluripersonale. Gli atti unilaterali sono molto più comuni di quanto ci possiamo immaginare. Un classico atto unilaterale è il testamento, oppure la procura stessa che si da ad un avvocato per rappresentarci in giudizio.

Gli atti unilaterali hanno natura recettizia, questo significa che producono i loro effetti quando pervengono a conoscenza dell’interessato, secondo quanto previsto dall’art. 1334 c.c. che recita: “Gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati”.

Una maggiore specificazione di questa disciplina è  prevista all’art. 1335 che stabilisce “La proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia”.

Opera quindi una presunzione relativa di conoscenza da parte del destinatario che può essere superata da quest’ultimo nella misura in cui dimostri di non averne avuto notizia senza sua colpa.

Vediamo un caso pratico per chiarire al meglio il funzionamento di questa normativa.

Poniamo di avere due coniugi, separati tra loro. L’ex marito, dopo aver attraversato un periodo di disoccupazione, durante il quale percepiva un assegno di mobilitàdall’INPS, si “dimentica” di avvisare l’Ente di aver ricominciato a lavorare, incassando una doppia entrata, cioè l’assegno di mobilità e il nuovo stipendio. Dopo un po’ di tempo l’Ente di previdenza, accortosi dell’irregolarità, spedisce al furbo signore una lettera di diffida – il nostro atto unilaterale – con la quale richiede la restituzione della somma illegittimamente percepita nel periodo in cui questi aveva ricominciato a lavorare.

Inseriamo nella nostra ipotesi un altro elemento per vedere all’opera anche l’art. 1335. Poniamo il caso che la missiva venga recapitata al vecchio indirizzo del destinatario, che dunque non ne viene a conoscenza. Trascorsi cinque anni, il nostro signore muore e l’INPS invia un’altra diffida al nuovo indirizzo di residenza, richiedendo all’ex moglie la restituzione delle somme da lui indebitamente percepite.

In tal caso la signora sarà obbligata, in quanto erede dell’ex coniuge defunto, a pagare quanto dovuto all’Ente.

Ma cosa sarebbe successo se fossero passati dieci anni – tempo in cui si prescrivono i crediti di somma di danaro – tra questi passaggi? Possiamo considerare le lettere di diffida – anche più d’una durante gli anni – inviate al vecchio indirizzo come interruzione del termine di prescrizione? Aveva il nostro signore l’obbligo di comunicare all’INPS il cambio di residenza?

La Corte di Cassazione pensa di no, come afferma in una sua sentenza (n° 4140/1999):

“L’operatività della presunzione di conoscenza stabilita a carico del destinatario dall’art. 1335 cod. civ., se non prova di essere stato senza sua colpa nell’impossibilità di avere notizia dell’atto a lui diretto, presuppone che tale atto giunga al suo indirizzo, con tale termine dovendosi intendere il luogo che per collegamento ordinario o per normale frequenza o per preventiva indicazione o pattuizione, risulti in concreto nella sfera di dominio e controllo del destinatario stesso, sì da apparire idoneo a consentirgli la ricezione dell’atto e la cognizione del suo contenuto.

Ne consegue che, allorquando risulti che il destinatario dell’atto abbia cambiato indirizzo, deve escludersi la sussistenza del presupposto per l’applicazione dell’art. 1335 cod. civ. e della consequenziale presunzione legale di conoscenza, poiché la comunicazione non si può intendere giunta all’indirizzo del destinatario, a nulla rilevando, d’altro canto, che il destinatario abbia pattuito con il soggetto che gli invia la comunicazione l’obbligo di comunicare il cambiamento di indirizzo e non l’abbia adempiuto, potendo semmai tale inadempimento giustificare l’eventuale esonero del soggetto, che doveva provvedere alla comunicazione entro un certo termine, dal rispetto del termine pattuito”.

Da questo orientamento della Suprema Corte si desume che, nel secondo caso prospettato, il nostro signore non è mai giunto correttamente a conoscenza della lettera di diffida dell’INPS. Perciò quest’ultima non ha prodotto l’effetto interruttivo della prescrizione decennale del credito e, di conseguenza, la successiva diffida, recapitata alla ex moglie del defunto, è da considerarsi tardiva visto che il credito si è già prescritto.