Reddito di cittadinanza per curarsi assolto imputato accusato di falso
Articolo di SardegnaDies sul resoconto delle attività dell'Istituto Bellieni, compresa la presentazione del libro Giustizia e Perdono
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Reddito di cittadinanza per curarsi assolto imputato accusato di falso

FONTE: LA NUOVA SARDEGNA

La difesa: «Non gli era stato detto che bisognava risiedere da 10 anni in ltalia»

Era finito a processo con l’accusa di aver reso false dichiarazioni per ottenere indebitamente il reddito di cittadinanza. In particolare, un ghanese residente a Sassari da tempo, nell’istanza inviata all’INPS aveva dichiarato di risiedere da più di 10 anni in Italia, contrariamente al vero. Ma il giudice Sara Pelicci, alcuni giorni fa, lo ha assolto “perché il fatto non costituisce reato”, accogliendo la ricostruzione difensiva fornita dall’avvocato Attilio Pinna.

L’imputato era ospite di un centro d’accoglienza ma, siccome era affetto da una grave insufficienza renale, i medici che lo avevano in cura gli avevano imposto di seguire un regime alimentare adeguato alla sua patologia, che però lo stesso centro non poteva garantire. Per far fronte alle spese necessarie per acquistare il cibo, aveva quindi deciso di richiedere il reddito di cittadinanza, rivolgendosi a un patronato.

Come ha rilevato l’avvocato Pinna durante la discussione, la dipendente dell’ufficio gli avrebbe fatto firmare soltanto il modulo sulla privacy e il conferimento dell’incarico, ma era presente anche un altro modulo, non firmato né mai visto, nel quale erano indicati dettagliatamente i requisiti per l’ottenimento del reddito di cittadinanza, tra cui quello della residenza in Italia. L’imputato non parlava la lingua italiana e aveva un livello di istruzione molto basso.

Nel corso dell’istruttoria è emerso che l’indagine nei suoi confronti era nata nel contesto di un’inchiesta più ampia in cui alcuni stranieri si erano trovati in situazioni analoghe. «È altamente plausibile che vi sia stato un difetto di comunicazione informativa da parte dei patronati», ha aggiunto il difensore.

Il giudice dunque si è convinto dell’assenza del dolo nella condotta dell’imputato. «Ma non solo» ha concluso, «ha ritenuto che non ci fosse il dolo. Il patronato cui si era rivolto non lo aveva informato adeguatamente». «Ma non gli è stato mai spiegato», ha detto il legale, «e lui si sentiva tranquillo proprio perché si era rivolto a un ente istituzionale competente. Occorre peraltro considerare», ha aggiunto l’avvocato, «che questo è un caso tipico di esclusione della colpevolezza e di ignoranza scusabile della legge penale, in quanto mancava la consapevolezza dell’illiceità della condotta».