02 Giu Riflessioni sulla crisi greca e il futuro dell’Unione Europea
Questo weekend parlerò della crisi greca, sulla falsariga di quanto già scritto in un mio recente volume dal titolo “Quale federalismo per l’Europa?” .
La Grecia affronta una grave crisi economica e rischia il default. Dopo la vittoria nelle recenti elezioni, il capo del governo, Tsipras, decide di non arretrare nella negoziazione con le istituzioni comunitarie e la Troika.
Il sistema europeo, nell’idea dei padri fondatori, nasce con l’intento di unificare politicamente il continente, nel rispetto dei principi della solidarietà, fratellanza, aiuto reciproco e mutuo riconoscimento fra i popoli europei. Oggi, invece, ci troviamo dinanzi ad un sistema che rinuncia freddamente a questi valori, in nome di un efficientismo economico curvato sulla salvaguardia del sistema bancario.
La Grecia, come molti paesi dell’area euro-mediterranea, è condizionata da un debito pubblico alimentato, anche, da un’adesione all’Euro all’esito di riflessioni superficiali e decisioni maldestre delle proprie classi dirigenti. Era già evidente, nel periodo subito precedente all’ingresso nella moneta unica, il divario tra le economie candidate ed è facile ricordare come, nelle cronache del tempo, molti parlassero di un’Europa a due velocità, se non a tre.
In altri termini, i paesi meridionali e orientali non avevano gli stessi standard di benessere e dinamicità del nord. Il sistema finanziario, bancario ed economico europeo era, e lo è ancora, predisposto a misura di pochi stati settentrionali – Germania, Benelux, Gran Bretagna, Francia, paesi scandinavi ; ciò che ha portato inevitabilmente al collasso delle economie ancora non così sviluppate.
Se, nel 2002, la fiducia nella novità portata dell’Euro aveva alimentato le speranze di tutti, drogando le aspettative di paesi come la Grecia, la Spagna, il Portogallo e lItalia, ora, purtroppo, quelle illusioni si stanno manifestando in tutta la loro portata, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.
L’ipotesi denominata da molti come Grexit – ovvero l’uscita della Grecia non solo dall’Euro, ma dalla stessa Unione Europea, affonda le radici certo nell’atteggiamento forse troppo superficiale dei governi nazionali precedenti, che hanno speso più di quanto potevano – la Grecia aveva un milione di dipendenti pubblici su 11 milioni di abitanti – ma anche in quello di chi ha permesso che tutto questo diventasse possibile, ossia le stesse istituzioni che hanno concesso prestiti folli ad un paese relativamente povero come quello ellenico.
Ora, quelle stesse istituzioni, unite nella Troika, assumono l’atteggiamento opposto, esercitando una pressione aggressiva sul governo ellenico, al fine di riottenere indietro il denaro prestato ed imponendo misure d’austerità che hanno fatto contrarre l’economia greca del 25% nell’arco di un paio d’anni.
Il risultato è stato che mentre gli istituti di credito si preoccupano dei bilanci e calcolano gli interessi – nell’ordine di miliardi di euro – del debito ellenico, la povertà dilaga, aumentano i suicidi, vi è carenza di medicinali e aumenta vertiginosamente il consenso di movimenti xenofobi e razzisti come Alba Dorata.
Le promesse di un sistema equo, solidale e ricco in Europa, che avrebbe garantito prosperità e benessere a tutti i suoi membri, si stanno infrangendo davanti alle richieste della BCE e di fronte all’egoismo nazionale della Germania. Non si può continuare a chiedere ad un economia al collasso di aumentare ulteriormente la pressione fiscale e tagliare la spesa pubblica. La Germania dovrebbe saperlo meglio di tutti visto che, dopo il secondo conflitto mondiale, le vennero condonati la maggior parte dei suoi debiti di guerra, per far ripartire la sua economia.
I creditori privati hanno cancellato, fin dal 2011-2012, più del 75% dei debiti che lo Stato greco aveva verso di loro. Le istituzioni che non rinunciano, e che chiedono il pagamento degli interessi alla Grecia, senza effettuare sconti, sono proprio la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale, enti nati per aiutare i paesi in difficoltà, non per rovinarli.
Insomma, l’Europa è a un bivio. Vuole diventare veramente uno Stato federale o confederale? In tal caso dovrà iniziare a pensare a scelte generose ed estinguere il debito greco, in tutto o almeno in parte, senza pretendere ulteriori interessi. In tal modo riacquisteranno centralità anche il fine di solidarietà e la prospettiva di integrazione tra i popoli che furono le grandi intuizioni dei padri costituenti, sessant’anni fa. In caso contrario l’Europa non sarà altro che una succursale ibrida politico-privata di una grande banca internazionale.